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Il genocidio e l’etnocidi dei nativi americani in USA

Libri consigliati

1. La vera storia del West di Jacques Portes, Edizioni del Capricorno;

2. I Sioux. Vita e costumi di un popolo guerriero di Royal B. Hassrick, Mursia;

3. Sulle frontiere del Far-West di Emilio Salgari, Fabbri;

4. The peace chiefs of the Cheyennes di Stan Hoig, University of Oklahoma Press;

5. Fiabe dei nativi americani. Miti e racconti a cura di Franco Meli, Giunti.

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Nel Nordamerica del 1890 di circa 1 milione e 250mila nativi americani, ne restavano solo 250mila. L’80% della popolazione era sparito, motivo per cui parliamo, in questo caso, di etnocidio1 oltre che di genocidio. Era il risultato di guerre, massacri, deportazioni, violenze che soprattutto inglesi e statunitensi avevano scatenato contro gli indigeni. E molti sopravvissuti furono rinchiusi in scuole religiose per essere “rieducati”.

La storia dei rapporti, in particolare, tra Stati Uniti e nativi americani è una lunga scia di sangue composta da massacri, come quello di Sand Creek e Wounded Knee, e trattati violati che portarono alle guerre indiane durante le quali l’ultima, fiera resistenza di popoli come i Lakota e gli Apache fu definitivamente schiacciata.

Oggi quei popoli, rinchiusi nelle riserve, sono tornati a far sentire la loro voce, tutto iniziò in un giorno d’autunno del 1971, quando un gruppo di nativi assaltò e occupò l’isola carceraria di Alcatraz. Se volete che ve ne parli scrivetemelo nei commenti e farò un video.

«Quando tutti i fiumi saranno asciutti, quando tutti gli alberi saranno bruciati, quando tutti i pesci del mare, gli uccelli del cielo e gli animali della terra saranno estinti, solo allora voi uomini bianchi capirete che non potete mangiare il vostro denaro».

Tatanka Iyotake
  1. Il genocidio dei nativi americani si accompagnò anche al tentativo di cancellare la loro cultura. L’etnocidio, infatti, secondo Pierre Clastres, è la distruzione sistematica della cultura di una popolazione, attraverso processi di acculturazione forzata e, nel caso dei nativi americani, sterminio di chi vi si opponeva. Il termine è stato coniato, in antropologia, da Georges Louis Condominas. ↩︎

La lotta delle madri di Plaza de Mayo

C’è un gruppo di donne che ha svelato i crimini della dittatura fascista in Argentina: sono le madri e le nonne di Plaza de Mayo. Da cinquant’anni chiedono giustizia per i figli e i nipoti1 scomparsi, i desaparecidos, vittime del regime di Videla.

Le madri e le nonne di Plaza de Mayo 

Il 30 aprile 1977 quattordici donne, madri di desaparecidos, si recarono a Plaza de Mayo, davanti il palazzo presidenziale a Buenos Aires, per chiedere a gran voce la verità sul destino dei figli sequestrati dal regime.

Fu ordinato loro di disperdersi ma rifiutarono continuando la loro marcia e opponendosi al regime all’apice della sua violenza.

Ma la pagarono cara. Azucena Villaflor de Vincenti, Mary Ponce de Bianco ed Esther Ballestrino de Careaga, tre delle fondatrici del gruppo, furono sequestrate pochi mesi dopo, torturate e uccise. I loro resti sono sati ritrovati solo nel 2005 e da alcuni documenti declassificati abbiamo scoperto che gli USA sapevano dove erano dal 1978.

Ma il movimento ha resistito ottenendo sempre più popolarità, sia in Argentina che all’estero, con manifestazioni pacifiche di migliaia di persone.

Sulla spinta di queste proteste è nata una commissione di inchiesta che ha svelato nomi e dimensioni del fenomeno dei desaparecidos.

Ancora oggi, ogni giovedì, il popolo argentino si riunisce in quella stessa piazza2 per ricordare le oltre 30.000 vittime del videlismo.

Libri e film consigliati

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  1. Quando una donna incinta veniva sequestrata dalle forze del regime argentino, restava in vita fino al parto e per poi essere uccisa. I figli nati da queste desaparecidas venivano dati a famiglie vicine al regime. Le nonne di Plaza de Mayo hanno ritrovato, a oggi, 130 nipoti su un totale di circa 500.
    ↩︎
  2. Le madri e le nonne di Plaza de Mayo hanno marciato per la verità ogni giovedì per trent’anni, fino al 2006. Oggi l’organizzazione originale del movimento, la Madres de Plaza de Mayo – Línea Fundadora, continua a osservare la marcia e la commemorazione del giovedì, mentre quello guidato da Hebe de Bonafini, avvicinatosi al governo Kirchner, ha deciso di sospendere la sua partecipazione. ↩︎

Il piatto preferito dell’imperatore Adriano?

Qual era il piatto preferito di un imperatore romano come Adriano? Prima vediamo cosa mangiava un aristocratico di Roma e poi ve lo dico. I banchetti erano un evento per l’aristocrazia romana, che era però un’esigua minoranza della popolazione, circa lo 0,2% dei romani.

Un nomenclator, un maggiordomo, annunciava gli invitati che si sdraiavano sui lettini secondo la loro gerarchia sociale. A Roma tutto, dal traffico in strada alla disposizione nel triclinio, era legato al rango sociale.

Iniziavano le portate: l’antipasto poi tre primi e due arrosti e infine il dolce. Si mangiavano fichi, uova di pavone, maiale, bovini, pesce, calamari e si beveva vino annacquato.

Pasti estremamente abbondanti ed elaborati e per questo, come vediamo nel Satyricon di Petronio, spesso i ricchi come Trimalcione, il cui banchetto è diventato sinonimo di eccessi, soffrivano di gastrite, calcoli, gotta.

Il piatto preferito di Adriano e di Alessandro Severo? Lo chiamarono tetrafarmacum: era un involucro di pasta dolce ripieno di carne, in generale cacciagione, fagiano e cinghiale oppure maiale. Adriano, come molti aristocratici, amava la caccia e la cacciagione.

Libri consigliati

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Com’erano le feste pubbliche nel Medioevo

Una festa pubblica nel Medioevo non era poi tanto diversa da una Love Parade di oggi. Nel Medioevo, infatti, si tenevano grandiose feste pubbliche, sia per cose semplici come la fine del mercato, che per eventi importanti come la nascita di un erede reale.

Il 6 febbraio 1392, ad esempio, per festeggiare la nascita di Carlo, figlio del re di Francia, oltre alle celebrazioni solenni nelle chiese, si festeggia in strada. Le campane suonano e i cittadini sfilano alla luce di torce mentre artisti e giocolieri imbastiscono spettacoli.

Le ragazze danzano per tutta la notte e i saltimbanchi organizzano pantomime mentre agli angoli delle strade si odono i cittadini inneggiare al monarca. Per le strade ci sono grandi tavole cariche di vino e spezie che le dame della città distribuivano a tutti i passanti.

E poi c’era il teatro, spesso legato all’ingresso di un re in città. Le persone del Medioevo lo amavano anche perché, dal XIII secolo ai drammi liturgici si affiancarono gli spettacoli comici.

Immagine di copertina: “Villaggio in festa, fiera annuale” di Hans Bol, seconda metà del XVI secolo.

Libro consigliato

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Perché i romani mangiavano sdraiati?

Perché i romani mangiavano sdraiati? Prima parliamo del banchetto romano e poi vi svelo il motivo. Gli aristocratici romani tenevano lussuosi banchetti che ospitavano in media fino a dieci invitati. Erano composti da tre fasi: antipasto (la gustatio), la portata principale o prima mensa e la secunda mensa con frutta e altro.

Il cibo era già tagliato e lo si mangiava con le mani, usando la punta della dita, quindi era fondamentale il tovagliolo (mappa) che poteva essere usato anche per portare gli avanzi a casa.

I romani iniziarono a mangiare sdraiati per influenza dei greci e degli etruschi nel periodo delle guerre puniche e divenne un segno dello status sociale. Tanto che Catone Uticense, dopo la vittoria di Giulio Cesare a Farsalo, per protesta contro la tirannia non fece lo sciopero della fame, bensì lo sciopero del mangiare sdraiato e iniziò a usare una sedia come la plebe.

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L’immigrazione in Italia è un’emergenza?

L’immigrazione in Italia è davvero un’emergenza? Per quanto la storia dell’immigrazione in Italia risalga alla fine della Seconda guerra mondiale, assume le forme che ha oggi alla fine degli anni Ottanta.

Siamo a Fiumicino nel 1988 e Jerry Masslo arriva dal Sudafrica in piena apartheid e chiede asilo. Sua figlia è stata uccisa in una manifestazione e non può tornare indietro, ma le autorità non considerano il Sudafrica pericoloso e rifiutano.

Masslo è costretto all’iregolarità, non può tornare da dove è venuto, attende un visto per il Canada che tarda, quindi finisce a fare il bracciante e coltivare pomodori in Campania. Nella zona inzizano le violenze sugli immigrati e una notte sparano a Jerry Masslo. La sua morte spinge 200mila persone in piazza contro il razzismo. Sembra successo oggi, invece è una tragedia di quasi quarant’anni fa.

In Italia, nel 2022, ci sono state 85mila domande d’asilo, in Austria circa 110mila, paese dieci volte meno popoloso di noi, ma viviamo in costante emergenza. Un’emergenza che sembra essere causata, più che dalla pressione migratoria1, dalla nostra scelta politica di smantellare il sistema di accoglienza ostacolando l’integrazione.

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  1. Nel 2022 la Germania ha avuto 243mila richieste d’asilo, la Francia 156mila, la Spagna 117mila. La pressione migratoria è un fenomeno reale ma va contestualizzato nel più generale scenario europeo dove, peraltro, è stata la via dei Balcani occidentali la più percorsa dai migranti nel 2022. ↩︎

Perché il rosa è associato alle donne e il blu agli uomini?

Nonostante quello che pensiamo oggi, il rosa non era storicamente il “colore delle femmine” come il blu non era quello dei “maschi”. L’assegnazione di questi due colori a un determinato genere o sesso quasi non esisteva prima della seconda metà del XX secolo.

Anzi, abbiamo testimonianze del rosa, segno di passione, usato da uomini, come il famoso completo rosa di Gatsby nell’omonimo romanzo di Fitzgerald1. Il blu, invece, essendo il colore dell’aristocrazia sin dall’antichità2, era spesso associato, ad esempio, alla Madonna, figura femminile per eccellenza.

Non sembra, però, che ci sia stato, come dicono alcuni studi, uno scambio: il rosa non era un colore maschile e il blu femminile3. Semplicemente questi colori non avevano connotazioni di genere, almeno prima del 1860. Ancora nel 1927 in un sondaggio del TIME, il 60% delle risposte assegnava il rosa ai ragazzi.

Furono soprattutto le aziende americane del secondo Novecento ad associarlo alle ragazze, seguite dalle personalità dell’epoca, come Mamie Eisenhower, Marilyn Monroe o la Barbie (però solo dagli anni ’70).

Libro consigliato

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  1. Il completo rosa di Gatsby, oltre ad avere un profondo significato simbolico, è anche espressione di una rottura con i tradizionali colori scuri vittoriani da parte dei newyorkesi Brooks Brothers, il più antico produttore di abbigliamento degli USA, di cui Fitzgerald era un fedele cliente, che lanciò questo completo. ↩︎
  2. Il blu era associato al cielo e alla divinità già nella civiltà egizia e tra i celti c’era l’usanza di dipingere con questo colore i guerrieri, ma in epoca romana fu associato alle classi popolari e rimase tale, in Europa, fino al primo Medioevo. Divenne un colore usato dai nobili dal XII secolo, grazie al suo uso nella ricostruzione dell’Abbazia di Saint-Denis e nell’iconografia di re Luigi IX di Francia (XIII secolo) ↩︎
  3. È stato il ricercatore Marco Del Giudice ha formulare la teoria dello “scambio tra rosa e blu”, citando la principale studiosa dell’argomento: la prof. Jo Paoletti. Ma la studiosa, in realtà, ha solo affermato che l’associazione al genere dei due colori non era consistente prima del XX secolo. ↩︎

L’incredibile storia della piaga del ballo

Ballarono senza tregua né una ragione per mesi. Fu la piaga del ballo che colpì centinaia di persone a Strasburgo nell’estate del 1518. Iniziò tutto con Troffea, una donna che a luglio cominciò a ballare senza ragione per la strada e in una settimana si erano aggiunte a lei circa 100 persone. Le autorità di Strasburgo pensarono bene di assecondare il fenomeno pagando musicisti per accompagnare i balli, peggiorando la situazione.

Ad agosto il numero di danzatori era salito a 400 persone e la piaga del ballo iniziò a mietere vittime. A settembre le autorità intervennero con forza, costringendo i danzatori nelle grotte dedicate a San Vito, patrono della danza, dove fu effettuato una specie di esorcismo. Quindi furono tutti ricoverati e pian piano smisero di ballare.

Cos’era successo? Ancora oggi è un mistero; qualcuno parla di funghi allucinogeni, encefalite, altri di isteria collettiva, alcuni ricordano il tarantismo italiano. Una cosa, però, la sappiamo: questo episodio non fu l’unico. Simili “piaghe del ballo” sono testimoniate nel Medioevo e in Era Moderna e la più famosa di esse, del 1374, colpì in Olanda e Belgio, lungo la valle del Reno.

Immagine di copertina: Incisione di Hendrik Hondius basata sul dipinto originale di Pieter Brueghel il Vecchio del 1584 riferita a un episodio simile alla piaga del ballo avvenuto nella città belga di Molenbeek.

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Il peggior genocidio della storia in America

Lo sterminio degli abitanti delle Americhe da parte dei coloni europei è stato il genocidio più grande della storia, con un numero di morti stimato dai 50 ai 100 milioni.

Ma per comprendere questo evento non basta fermarsi ai numeri. L’olocausto americano, iniziato alla fine del XV secolo, fu composto da tre livelli di gravità.

I tre livelli del genocidio dei nativi americani

Il primo fu quello delle uccisioni dirette durante le guerre e al di fuori di esse. Il numero di vittime fu elevato ma esiguo rispetto al resto.

Il secondo quello dei maltrattamenti dovuti alla condizioni di lavoro schiavile, in particolare nelle miniere. Un numero maggiore ma ancora minore1.

Il terzo è quello che produsse la gran parte delle vittime: lo shock microbico, ovvero tutte le malattie come il vaiolo arrivate dall’Europa e che sterminarono il 90% della popolazione2.

Lo sterminio dei nativi americani ebbe un aspetto terribile, con atti di violenza inaudita come l’uccisione di bambini solo per nutrire i cani. Un esempio di cosa può fare l’uomo quando ha potere assoluto su altri esseri umani.

  1. Per comprendere le dimensioni della tragedia del secondo livello, tra la metà del XVI e l’inizio del XIX secolo, circa quattro milioni di nativi americani morirono nelle miniere d’argento di Potosí. ↩︎
  2. Si stima che il 90% degli indigeni americani furono sterminati dalle malattie tra il 1492 e il 1550. Questa serie di epidemie, aggiunte alle guerre e alle violenze, ridussero l’intera popolazione mondiale del 10%. A causa del peso avuto dallo shock microbico nello sterminio dei nativi, studiosi come Poole o Cook hanno criticato l’uso del termine genocidio. Nonostante questa obiezione, come ha spiegato Tzvetan Todorov, gli spagnoli, seppure ignari dei principi delle guerre batteriologiche, furono consapevoli della diffusione delle malattie e ne approfittarono. Inoltre, come ha rilevato lo storico John Toland, i metodi di sterminio e segregazione usati nelle Americhe furono presi a modello da altri genocidi, come Adolf Hitler. ↩︎

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Abbiamo abolito il delitto d’onore ma non il maschilismo

Assolvere un uomo violento o femminicida perché “questa è la sua cultura” o perché “lei lo ha fatto impazzire”. Succede ancora oggi e ricorda molto una legge del passato, sapete quale?

Il delitto d’onore (art.587) riduceva la pena per l’omicidio del coniuge, della sorella o della figlia se queste avevano leso l’onore dell’imputato o della famiglia. Come? Con la libertà sessuale naturalmente.

Riformulato in epoca fascista garantiva le attenuanti (dovute a uno stato d’ira praticamente sempre presunto) all’omicida, marito, fratello o padre della vittima.

Si parla di pene che partivano da tre anni e al massimo raggiungevano i sette per l’omicidio.

Come per Franca Viola e il matrimonio riparatore anche il delitto d’onore ebbe un caso clamoroso che contribuì al dibattito pubblico sull’argomento: quello di Filippo Furnari, padre della diciannovenne Maria Catena, studentessa che aveva avuto rapporti con il professore universitario Francesco Speranza. Il padre uccise Speranza e fu condannato a 2 anni e 11 mesi. Il processo rappresentò l’ultimo caso di questi tipo e divise l’opinione pubblica in senso generazionale: per i giovani, infatti, “l’onore” non era più “sacro”.

Quindi, nel 1968 si tentò di abolirlo ma governi poco efficaci e un certo favore da parte dell’opinione pubblica ostacolarono il progetto.

In Italia il delitto d’onore è stato abrogato solo nel 1981, dopo un lungo percorso portato avanti soprattutto dai movimenti femministi e che in Italia abolì il reato di adulterio, introdusse il divorzio e poi l’aborto.

Oggi a Brescia un pm ha parlato di contesto culturale e libertà pretese dalla moglie per assolvere un marito violento. Il modo di pensare che aveva portato al delitto d’onore non sembra essere tramontato.

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