Il disastro del Vajont si compie alle 22:53 del 9 ottobre 1963. Gli abitanti di Longarone sono in casa a guardare la finale di Champions League tra Real Madrid e Glasgow Rangers. Nella notte un pezzo del Monte Toc, 270 milioni di metri cubi di roccia, frana nel grande lago che, incoronato dalla possente diga del Vajont, domina la loro valle. Un’esplosione travolge la silenziosa oscurità, l’onda si alza per 250 metri e precipita giù dalla montagna come un martello d’acqua e fango.
Il disastro del Vajont
Longarone scompare per sempre, inghiottita dalla furia di quello tsunami di montagna in 4 minuti. Il sole sorge su una valle dall’aspetto mutato: dove un tempo si alzavano tetti, case, giardini, orti e strade ora un’indistinta e uniforme distesa di fango lascia apparire, qua e là, qualche tetto, un campanile e nient’altro. Tutto è silenzio e morte, dopo il grande ruggito della montagna violata, macerata, sgretolata da una diga che non doveva essere costruita.
La diga del Vajont
Un diga voluta negli anni Venti dalla SEDA, approvata irregolarmente durante la Seconda Guerra Mondiale e poi nazionalizzata con l’ENEL. Una diga che dominava con la sua lugubre muraglia non solo la valle, ma l’immaginario collettivo della popolazione costretta a vivere nella sua ombra, che raccontava una leggenda sul paese di Erto, vicino a Longarone, finito sul fondo di un lago. Una diga che la giornalista ed ex-partigiana Tina Merlin aveva più volte denunciato come pericolosa, finendo in tribunale con l’accusa di calunnia.
Dopo il disastro
L’onda si porta via 1.917 persone (tra cui 487 bambini), solo 1500 verranno ritrovate, la maggior parte irriconoscibili. Nell’agghiacciante panorama che si apre agli occhi dei soccorritori e dei sopravvissuti il 10 ottobre, la Diga del Vajont domina il cimitero da lei creato ai suoi piedi, intatta e indistruttibile. Sorge ancora oggi là, all’ombra del Monte Toc, come una colpa che non può essere dimenticata né tantomeno perdonata.
«Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dai rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale che ora è diventata una tragica realtà. Oggi tuttavia non si può soltanto piangere. È tempo di imparare qualcosa»
tina merlin su l’unità
