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Quando cacciarono il giornalista Enzo Biagi

il giornalista enzo biagi

Era un vero giornalista, Enzo Biagi, e per questo un uomo scomodo. Scriveva e curava giornali già da ragazzino, a scuola, dove aveva dato vita, con alcuni compagni, alla rivista studentesca Il Picchio. E già allora si era scontrato col potere: il regime fascista soppresse dopo pochi mesi la piccola rivista studentesca, da allora Biagi divenne antifascista.

Il giornalista Enzo Biagi

Persino sui monti dell’Appennino, tra le privazioni della Resistenza, Biagi era direttore e unico redattore de I Patrioti, giornale dei partigiani con il quale informava la gente del reale andamento della guerra sulla Linea Gotica, smentendo costantemente la propaganda di regime.

Biagi viveva il giornalismo con un’integrità missionaria: «Ho sempre sognato di fare il giornalista: lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie». In un paese come l’Italia, dove l’informazione, in particolare quella pubblica, era in mano al potere politico, Enzo Biagi visse una serie infinita di conflitti e allontanamenti.

Tutte le volte che cacciarono Enzo Biagi

Nel 1951 la sua posizione contro la bomba atomica gli fece lasciare il Carlino; nel 1960 le sue critiche al governo per la Strage di Reggio Emilia gli costarono il posto a Epoca, che pure aveva portato al successo. Nel 1963, dopo soli due anni, dovette lasciare la prima direzione in Rai perché “non allineato all’ufficialità”; nel 1971, tornato a il Resto del Carlino da dove, però, se ne nello stesso anno per gli attacchi dell’allora ministro delle finanze Preti. Nel 1981 dichiarò di non essere disposto a lavorare nel Corriere della Sera travolto dallo scandalo P2 e controllato dalla massoneria deviata, lasciando il posto. D’altronde Licio Gelli aveva già chiesto a Di Bella, direttore del quotidiano, di cacciare Biagi o di spedirlo come inviato in Argentina.

Sono gli anni delle interviste a Gheddafi (all’indomani della Strage di Ustica) e a Gorbacev, gli anni in cui Silvio Berlusconi, ancora molto lontano dallo scendere in politica, corteggia Biagi perché lavori in Mediaset. Il giornalista, però, rifiuta sempre.

L’editto bulgaro

Poi lo tsunami combinato della caduta del Muro di Berlino e di Tangentopoli travolge l’Italia e la cambia per sempre. Berlusconi fonda il suo partito e per Biagi tornano i problemi. All’epoca il giornalista conduce Il Fatto, un approfondimento serale dopo il TG1, che i critici considerano il miglior programma giornalistico dei primi cinquant’anni della RAI. Non sarà abbastanza. Il potere politico e mediatico di Berlusconi e l’integrità di Enzo Biagi sono destinati a entrare in conflitto. Cosa che succede pochi anni dopo, nel 2002.

Le critiche di Benigni al governo durante un’intervista a Il Fatto scatenano la reazione del Presidente Berlusconi e di tutti i suoi corifei, capeggiati da Giuliano Ferrara, finché, il 18 aprile del 2002, il Cavaliere rilascia una dichiarazione da Sofia, in Bulgaria, indicando i tre personaggi televisivi a lui sgraditi. Biagi è uno di loro.

Costretto a lasciare la Rai il 31 dicembre dello stesso anno, il giornalista si ritira dalle scene. Con lui perdiamo uno sguardo acuto temprato dalla saggezza ormai matura proprio negli anni convulsi post 11 settembre. Riuscirà a tornare in Rai anni dopo, esordendo con: «C’eravamo persi di vista, c’era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro». Ma, ormai anziano, morirà lo stesso anno, il 6 novembre del 2007. Il suo funerale accoglierà una folla sterminata di persone.

«Cara Italia, perché giusto o sbagliato che sia questo è il mio paese con le sue grandi qualità ed i suoi grandi difetti»

enzo biagi

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