Traffico di droga, estorsione, rapina, 120 omicidi e associazione mafiosa (reato nato da pochi anni). Queste le accuse mosse ai circa 300 imputati, difesi da 200 avvocati di fronte a 600 giornalisti internazionali. Oggi, 35 anni fa, si apriva il Maxiprocesso di Palermo. Il più grande, e anche ultimo, traguardo raggiunto dal team di Falcone e Borsellino, i “professionisti dell’antimafia”, come li chiamò, suscitando lo sdegno nazionale, Leonardo Sciascia. Traguardo che costò loro la vita ma che inferse uno storico colpo alla Mafia, sopravvissuta a ogni inchiesta, nonostante il tanto sangue versato.
Il Maxiprocesso alla Mafia
Quel 10 febbraio 1986, nell’aula bunker sfilarono Luciano Liggio, Pippo Calò, Michele Greco, Salvatore Montalto, citati in contumacia anche Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. La cupola era alla sbarra, per la prima volta.
Ce l’aveva messa, soprattutto, Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi (intervistato nello storico “Il boss è solo” da Enzo Biagi). Uno dei primi importanti pentiti della storia italiana, spinto su quella strada dal rapimento e dall’omicidio dei suoi due figli, sterminati contro il codice d’onore dai nemici Corleonesi. Tra la seconda guerra di Mafia degli anni ‘80 e il pentimento, Buscetta perse due figli, un fratello, un genero e quattro nipoti.
Ma il suo confronto con Pippo Calò spazzò via le speranze dei molti mafiosi che avevano chiesto di affrontare l’accusatore. Lucido e motivato, Buscetta smontò al difesa di Calò e lo mise di fronte alle sue responsabilità. Tutti gli altri boss e gregari rinunciarono al confronto. Buscetta, però, non accettò mai l’appellativo di pentito, confermando una visione romantica e idealizzata della Mafia:
«Ero entrato e rimango con lo spirito di quando io ero entrato. […] Cosa Nostra, ha sovvertito l’ideale […] con delle violenze che non appartenevano più a quegli ideali. Io non condivido più quella struttura a cui io appartenevo. Quindi non sono un pentito».
Tommaso Buscetta
Dopo 21 mesi il processo si chiuse con 346 condanne (74 in contumacia), tra cui 19 ergastoli, per un totale di 2.665 anni di carcere e 11,5 miliardi di lire di multe. Le assoluzioni furono 114.
Immagine: Il traditore di Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino.

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