È l’afoso agosto del 1984 e ai Giochi di Los Angeles la marocchina Nawal el Moutawakel ha appena tagliato il traguardo nei 400 ostacoli nel Coliseum Stadium, battendo record personali e culturali. Nawal è stata, infatti, la prima donna musulmana e il primo atleta marocchino a vincere un oro alle Olimpiadi. «Siamo tutti molto orgogliosi di te. L’intero Paese è in festa», le dice al telefono re Hassan II, rimasto sveglio tutta la notte per non perdersi la corsa in televisione. Non solo. Per festeggiare l’evento, come nelle migliori favole, il re decreta che ogni bambina nata quel giorno si chiami Nawal.
La medaglia d’oro di Nawal el Moutawakel
Oggi Nawal è membro esecutivo del Comitato Olimpico, dopo essere stataMinistronel suo Paese. A dimostrazione che lo sport è anche politica, l’atleta marocchina è diventata un’icona per tutte le donne musulmane. «Le donne mi scrivevano per quello che avevo fatto per loro con lo sport. Ragazze con e senza il velo mi raccontavano che grazie a me si erano sentite liberate e che sentivano nel loro profondo di aver corso al mio fianco», dirà Nawal. In pochi mesi la sua casella postale è invasa da migliaia di lettere.
Quella di el Moutawakel è stata la prima volta dei 400 a ostacoli femminili. Una prima volta spiazzante, che ha visto sul podio un’emozionata ragazzina di 21 anni vestita di rosso e verde, con i capelli neri al vento. E che ha inaugurato una nuova epoca per la cultura sportiva. Perché, come dichiarato da Nawal in un’intervista, «l’Olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce, in un insieme equilibrato, le qualità del corpo, della volontà e dell’anima».
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