Il transatlantico St. Louis doveva essere la nave della speranza, in fuga dalle persecuzioni naziste verso il Nuovo Mondo. Invece il suo errare fu presto chiamato “viaggio dei dannati”. Un mondo indifferente, dominato dallo strisciante antisemitismo e da una palese xenofobia, rifiutò più volte di accoglierli.
Il viaggio del transatlantico St. Louis
Il St Louis salpò da Amburgo il 13 maggio del 1939 Con a bordo 936 rifugiati ebrei. Tre mesi dopo sarebbe iniziata la Seconda Guerra Mondiale. A comandare la nave il capitano Gustav Schröder, un tedesco non ebreo e anti nazista che provvedette per dei servizi religiosi ebraici e ordinò al suo equipaggio di trattare i rifugiati come qualsiasi altro normale passeggero in crociera.
Giunti a L’Avana il governo di Federico Laredo Bru si rifiutò di accogliere i passeggeri ebrei, nonostante le pressioni degli USA. Anzi, impose loro un’ulteriore tassa di 500 dollari a testa per poter sbarcare. Dopo una serie di trattative 29 rifugiati riuscirono a scendere a Cuba e la nave ripartì.
Negli Stati Uniti, che dal 1924 avevano introdotto quote di immigrati, non andò meglio. Dopo qualche tentennamento gli USA si rifiutarono di accogliere gli ebrei in fuga. Un gruppo di accademici e religiosi del Canada, allora, chiese al Primo Ministro di accogliere i rifugiati, ma il governo, ostile alla migrazione ebrea, convinse il premier a respingerli.
Gustav Schröder era in un vicolo cieco ma si rifiutava di riconsegnare la nave alla Germania e i suoi passeggeri al loro inevitabile destino. Gli ufficiali americani, alla fine, intervennero in suo aiuto e, dopo una lunga trattativa, convinsero Gran Bretagna, Francia, Belgio e Paesi Bassi ad accogliere i 936 ebrei.
Il St Louis sbarcò i suoi rifugiati ad Anversa. Dei 620 che restarono nel continente europeo, solo 365 sopravvissero alla deportazione. 254 morirono a causa delle persecuzioni naziste. E dell’egoismo mondiale.