Alda Merini, come diceva lei stessa, era una “donna non addomesticabile”. Questa sua indomabile resistenza e un possibile bipolarismo la portarono a scontrarsi con la società e a finire più volte in manicomio.
Il manicomio di Alda Merini
In quel luogo sperimentò vere e proprie torture: fu legata mani e piedi al letto come punizione per l’insonnia, visse l’umiliazione di doversi spogliare davanti a tutti per essere lavata con l’acqua fredda e, più terrificante di tutto, l’elettroshock senza anestesia per aver risposto male a un’infermiera. A queste sofferenze si aggiunsero l’isolamento e la disperazione.
«Quando mi ci trovai nel mezzo» al manicomio «credo che impazzii sul momento stesso, in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero.
«Mio marito non veniva mai a trovarmi. Ogni giorno mi appostavo davanti all’ingresso e mi accoccolavo per terra, proprio come una geisha, e aspettavo per ore che lui si facesse vivo. Poi, vinta dalla stanchezza, e con le lacrime agli occhi, tornavo nel mio reparto».
Alda Merini affrontò quell’esperienza con coraggio e nelle mura dell’istituto trovò anche l’amore: un paziente di nome Pierre che poi fu trasferito.Uscita dal manicomio dopo circa dieci anni, nel 1972, dovette affrontare quella società feroce e incapace di accogliere la diversità che conosceva. «Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano».
Ma dall’esperienza del manicomio, Alda Merini trasse la forza per diventare una poetessa della vita che per sua natura rompe gli schemi e abbatte il conformismo.
«Il manicomio è una grande cassa di risonanza
E il delirio diventa eco,
l’anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai,
maledetto, su cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta»
“La Terra Santa”, Alda Merini, 1979