Era il quarto anniversario del primo governo Mussolini quando il quindicenne Anteo Zamboni tentò di uccidere il Duce. Figlio di un anarchico convertito al fascismo per ragioni economiche, Anteo, soprannominato “il Patata”, era l’ultimo di tre fratelli.
L’attentato a Mussolini
Il 31 ottobre 1926, Benito Mussolini si trovava a Bologna per inaugurare lo Stadio Vittoriale. La sera venne riaccompagnato in un auto scoperta verso la stazione. Il corteo raggiunse l’angolo con Via Rizzoli alle 17.40, lì, appostato sotto il primo arco del portico, stava il giovanissimo Anteo.
Tutto avvenne in pochi minuti, lo raccontò nel suo rapporto il maresciallo Francesco Burgio.
«Mentre dalle finestre dei palazzi cadevano fiori sull’automobile del Duce, un individuo, allontanato bruscamente un soldato del cordone, ha allungato il braccio destro in direzione dell’on. Mussolini facendo l’atto di sparare. Per fortuna un maresciallo dei carabinieri, il sig. Vincenzo Acclavi, del nucleo di Trieste, dava un brusco colpo al braccio dello sconosciuto; così che il colpo, esploso in quel momento, deviava e il Duce sfuggiva per miracolo al criminoso gesto dell’attentatore.»
Francesco Burgio
Il proiettile forò il bavero del Duce e si conficcò nell’imbottitura dell’automobile. Leandro Arpinati, che guidava la vettura, e i suoi squadristi si gettarono sul giovane che era stato individuato dal tenente Carlo Alberto Pasolini (padre di Pier Paolo) e lo linciarono.
L’evento fu così violento che persino lo stesso Mussolini, anni dopo, lo condannò come vergognoso. Ma l’attentato di Zamboni permise al Duce e al regime di varare un duro giro di vite con le “Leggi per la difesa dello Stato“. La nuova legislazione prevedeva: lo scioglimento di tutti i partiti politici, la decadenza dei 123 deputati aventiniani, l’istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, l’istituzione della pena capitale, la creazione degli Uffici politici investigativi (UPI) della MVSN e l’istituzione del confino.