Il 23 febbraio 1898 venne arrestato Emile Zola, il giornalista reo di aver denunciato l’ingiusta condanna del Capitano Alfred Dreyfus all’ergastolo nell’Isola del Diavolo. Dreyfus, di origini ebraiche, era stato accusato falsamente di spionaggio sull’onda dell’antisemitismo francese di quegli anni.
Emile Zola non accettò quella ingiustizia e scrisse il suo famoso “J’accuse”, una lettera aperta al Presidente, per denunciarla. Col risultato di essere a sua volta condannato a un anno di carcere. Ma grazie a quella lettera il processo fu riaperto e Dreyfus prosciolto. Era il 1906, e Zola era ormai morto da quattro anni.
Il J’Accuse di Émile Zola
«Io accuso…!»
«La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell’uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor Presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto».
Zola allora scrisse nomi, cognomi e gradi di tutti i potenti militari dell’epoca che avevano cospirato contro Dreyfus. E infine concluse:
«Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l’indagine abbia luogo al più presto. Io aspetto. Vogliate gradire, signor Presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto.»