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Marcinelle: quando i migranti senza diritti eravamo noi

Il disastro di Marcinelle

Sono le 8:10 dell’8 agosto 1956, nella miniera di carbone di Bois du Cazier, appena fuori da Marcinelle, in Belgio, quando un corto circuito incendia 800 litri di olio dando fuoco alle gallerie superiori. È l’inizio del “disastro di Marcinelle”.

Cosa fu il disastro di Marcinelle

Sotto quel muro di fuoco, a 1.035 metri di profondità, più di 260 minatori restano bloccati e muoiono, soffocati dal fumo o arsi vivi dalle fiamme. 136 di loro sono emigrati italiani.

Quei 136 minatori erano la merce di scambio di un gigantesco baratto tra Italia e Belgio. Nel 1946, la prima aveva più di due milioni di disoccupati, il secondo bisogno di lavoratori per le miniere di carbone della Vallonia.

Tra il 1946 e il 1956 l’Italia inviò oltre 60mila minatori in Belgio, in cambio, Bruxelles si impegnò a consegnare 200 kg di carbone al giorno per ognuno di essi.

Costretti a condizioni di lavoro durissime, stigmatizzati e discriminati, gli immigrati italiani in Belgio conducevano una vita di sofferenza ed emarginazione.

Ma il disastro di Marcinelle segnò un punto di svolta.

«Il nostro vicino» raccontò un figlio di immigrati italiani in Vallonia «che non la smetteva mai di insultare mio padre, entrò da noi piangendo».

«La comunità italiana del Belgio ha pagato con il sangue il prezzo del suo riconoscimento».

Patrick Baragiola su Le Monde

Cosa resta oggi di quel disastro

L’incendio e la morte di quei minatori ci ricorda un’epoca passata, nella quale i migranti senza diritti, sacrificati sull’altare degli accordi internazionali e del profitto, eravamo noi.

Ci ricorda che non solo la guerra, ma anche la miseria è un male da cui chiunque vorrebbe fuggire. Come facemmo noi.

Ci ricorda di quando la nostra nazione era pronta a barattarci per un po’ di carbone, spedendoci nelle profondità di un’altra terra, a estrarne ricchezze di cui non avremmo mai goduto.

Ci mostra la realtà al di là dello specchio dei migranti di oggi: la vita nelle baracche, l’odio sordo dei cittadini, la segregazione, l’ipocrisia di un popolo che ti sfrutta e ti nega i diritti.

Ce lo ricorda invano, perché mentre sottolineiamo con apparente arguzia le differenze tra i “noi” e i “loro”, tra quelli di “ieri” e quelli “oggi”, ci sfugge l’aspetto più evidente. Potevano essere diverse le dinamiche ma l’esperienza di emarginazione, sofferenza e discriminazione è sempre la stessa.

Quando arrivi al gradino più profondo dell’analisi, al livello umano, a contare sono solo l’empatia o la sua assenza.

I minatori italiani di Marcinelle

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