La discussione sullo scioglimento dei partiti neofascisti che si è sollevata in Italia dopo le violenze di Forza Nuova del 10 ottobre a Roma non è nuova. Da quando la Legge Scelba sull’apologia del fascismo fu varata, nel 1951, il suo compito di arginare la propaganda estremista e la ricostituzione di un partito fascista è sempre riuscito a metà. Tranne in due casi, avvenuti nella prima metà degli anni ’70.
I partiti neofascisti sciolti dal governo
La prima organizzazione neofascista a incappare nella Legge Scelba fu Ordine Nuovo, fondato inizialmente dal missino Pino Rauti e poi ricostituito nel 1969 da un gruppo di fuoriusciti dell’MSI che consideravano quest’ultimo ormai “asservito alla borghesia e all’imperialismo americano”. In quattro anni, Ordine Nuovo divenne la realtà extraparlamentare di destra più importante del paese. Oggi è considerato l’ispiratore ideologico della strage di Piazza Fontana.
Nel 1973 la magistratura accusò trenta appartenenti a Ordine Nuovo di ricostituzione del partito fascista. Il processo si concluse con trenta condanne, a pene variabili da cinque anni e tre mesi a sei mesi di reclusione. Molti militanti, però, si erano già attrezzati per la lotta armata e passarono in clandestinità.
Due anni dopo toccò ad Avanguardia Nazionale, altra organizzazione legata a Ordine Nuovo e al MSI, ricostituita nel 1970 dopo aver partecipato al fallito golpe Borghese. Ma il 5 giugno 1976 il tribunale di Roma condannò gran parte dei dirigenti e degli attivisti di Avanguardia Nazionale. Ma le pene inflitte erano inferiori alle richieste del PM.
La scioglimento di questi gruppi neofascisti, per quanto giustificato, ha spinto molti membri in clandestinità. In questo modo ha contribuito al peggioramento della stagione terroristica italiana degli Anni di Piombo.
Una opinione su "Le due volte che il governo italiano ha sciolto i partiti neofascisti"