Marsha P. Johnson aveva solo 24 anni quando si ribellò all’ennesima retata della polizia dando inizio, con il suo grido: «Anche io ho i miei diritti!» alla rivolta di Stonewall, atto di nascita del Pride. Marsha, che si autodefiniva drag queen, era nata in New Jersey nel 1945. «Essere omosessuale è peggio di essere un cane» le disse la madre quando era adolescente, così Marsha prese i vestiti, i vinili e 15 dollari e se ne andò a New York, nel Greenwich Village dove divenne, da subito, parte integrante della crescente comunità LGBT.
Marsha P. Johnson e i moti di Stonewall
Marsha aveva un carattere forte e fu una delle tre persone che, la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, si ribellò alla polizia e iniziò la rivolta di Stonewall. Molti la ricordavano mentre lanciava un bicchiere contro lo specchio del locale in fiamme gridando «Anche io ho i miei diritti!». La notte si trasformò in una battaglia sotto le luci diafane dei lampioni. Arrivarono le forze speciali della polizia e si trovarono di fronte a quelle del movimento LGBT+: un corteo di drag queen che bloccava la strada al coro:
«Siamo le ragazze dello Stonewall
abbiamo i capelli a boccoli
non indossiamo mutande
mostriamo il pelo pubico
e portiamo i nostri jeans
sopra i nostri ginocchi da checche!»
Drag queen durante i moti di Stonewall
Marsha restò un pilastri del movimento LGBTQI+ anche dopo Stonewall, come fondatrice del Gay Liberation Front, e dell’Organizzazione per gay, trans e persone genderqueer. Purtroppo la sua vita ebbe una tragica fine: il suo corpo fu ritrovato nel fiume Hudson nel 1992, poco dopo il Gay Pride. La polizia cercò di derubricare la sua morte a semplice suicidio, ma alcuni testimoni parlarono di un’aggressione. Le forze dell’ordine, comunque, non vollero indagare. Accettarono, però, di chiudere la Seventh Avenue e permettere, così, agli amici di Johnson di gettare le sue ceneri nel fiume.