Emanuela Loi fu la prima poliziotta italiana a morire sul campo, mentre proteggeva coi suoi colleghi, la vita di Paolo Borsellino. Diventare un’agente non era stato, in origine, il sogno di Emanuela ma della sorella Maria Claudia che, però, non era riuscita a essere ammessa alla Scuola Allievi. «Non aveva grilli per la testa. Era socievole, amichevole e determinata. E molto seria, studiava tanto» raccontò, poi, una sua ex-compagna.
La dedizione di Emanuela Loi
Dopo aver superato il corso a Trieste venne inviata a Palermo dove, tra i vari incarichi, anche la sorveglianza della casa di Sergio Mattarella, oggi Presidente della Repubblica. Gli ex colleghi la descrissero con gli aggettivi: «Gentile, risoluta, pignola». Qualità che, con il suo attaccamento al mestiere, la faranno apprezzare e destinare a compiti sempre più importanti. Emanuela aveva ventiquattro anni e una vita normale, quando si trovò ad adempiere il suo dovere sulla linea del fuoco tra lo Stato e la Mafia. A giugno del 1992 entrò nella scorta dell’ultimo sopravvissuto di quella stagione di lotta che era culminata nel Maxiprocesso: Paolo Borsellino. Ai genitori, preoccupati dopo la Strage di Capaci, diceva che non dovevano avere paura.
Alle 16:59 del 19 luglio del 1992, l’esplosione di 90 kg di tritolo la uccise in Via D’Amelio, a Palermo. L’obiettivo dell’attentato era Borsellino, a morire con il magistrato ed Emanuela anche i suoi colleghi e amici Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. La sorella di Emanuela, oggi, lavora nelle scuole con l’associazione Libera per sensibilizzare i giovani contro la Mafia.
«È il mio lavoro, non mi tirerò mai indietro»
Emanuela Loi