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«Restiamo Umani». L’eredità spirituale di Vittorio Arrigoni

Vittorio Arrigoni

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«Restiamo umani», con questa frase Vittorio Arrigoni chiudeva ogni suo pezzo. E questa semplice e potente esortazione, è la sua eredità spirituale. Vittorio è stato ucciso il 15 aprile di dieci anni fa e oggi, probabilmente, molti lo ricorderanno, forse gli stessi che, in vita, lo avevano attaccato. Perché le scelte di Vittorio a favore del popolo palestinese erano state coraggiose e il coraggio può suscitare sospetto. Soprattutto nel nostro paese.

Vittorio Arrigoni la Palestina

Vittorio era un reporter, ma di quelli che si sporcano le mani, che combattono con la solidarietà l’orrore della guerra. Aveva iniziato la sua esperienza di cooperazione umanitaria nell’Europa dell’Est e poi era andato in Africa. Ma la sua vera battaglia si era consumata nella Striscia di Gaza, il più grande “campo di concentramento” della storia, secondo la giornalista israeliana Amira Hass.

E anche lì, Vittorio non aveva usato mezze misure. Aveva criticato le scelte di Israele, tanto da finire sulla sua lista nera, ma anche quelle di Hamas e al-Fatih per la loro presa autoritaria e teocratica sul popolo palestinese. Vittorio era un difensore delle vittime, non un partigiano politico.

Fu questo a isolarlo e a condurlo, passo dopo passo, verso la sua tragica fine. Espulso e poi rientrato via mare a Gaza, nel 2009 pubblicò il suo libro Gaza Restiamo Umani dove raccoglieva i suoi reportage dalla Palestina.

Il 14 aprile del 2011 fu rapito a Gaza da un gruppo, forse, salafita o indipendente. Il giorno stesso uscì un video su internet con Vittorio bendato e tumefatto. Nel filmato i terroristi dichiaravano l’Italia uno “stato infedele” e Arrigoni un corruttore dei costumi. Ci fu un ultimatum ma, in realtà, Vittorio fu ucciso quasi subito e il suo corpo ritrovato in un blitz di Hamas il 15 aprile.

Nonostante la straziante perdita, la famiglia si dichiarò contraria alla pena di morte per i colpevoli, processati a settembre. Una scelta che Vittorio avrebbe apprezza. Moni Ovadia lo ricordò poco dopo come: «un essere umano che conosceva il significato di questa parola».

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