L’Italia fascista aveva un’idea precisa del ruolo della donna nella società. «Servire la Patria come la Mamma più grande, la Mamma di tutti i buoni italiani,» recitava il decalogo della Piccola italiana. Il decreto del 9 dicembre del 1926 sull’insegnamento segnò un ulteriore passo in questa direzione.
Le donne e l’insegnamento nel fascismo
I provvedimenti del decreto erano chiari: le donne sono escluse dalle cattedre di lettere, latino, greco, storia e filosofia nei licei classici e scientifici, di italiano e storia negli istituti tecnici e dai ruoli di dirigenti o presidi scolastici (1928). A questi limiti si aggiungerà l’aumento delle tasse universitarie per le studentesse, raddoppiate rispetto a quelle degli uomini.
Già con la riforma Gentile, «la più fascista delle riforme» secondo Mussolini, il regime aveva confinato le donne in licei e istituti femminili dove venivano insegnati “lavori donneschi” (art. 7 della riforma). Tutto, nel regime, indirizzava le donne a restare a casa a fare figli. Questo obiettivo era esplicitato proprio nel decalogo della Piccola italiana:
«Il cittadino cresce per la difesa e la gloria della Patria accanto alla madre, alle sorelle, alla sposa. Il Duce ha ricostruito la vera famiglia italiana: ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana».
D’altronde l’economista Ferdinando Loffredo, nella sua “Politica della famiglia” del 1938, aveva scritto:
«La indiscutibile minor intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia»
Ferdinando Loffredo, “Politica della famiglia”
Mentre la carriera è un rischio:
«Il lavoro femminile crea nel contempo due danni: la mascolinizzazione della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità e perde la fiducia nell’uomo»
Ferdinando Loffredo, “Politica della famiglia”
Il regime fascista attuò una segregazione sistematica delle donne cercando di ostacolarne l’emancipazione. Infliggendo, in questo modo, all’Italia un ritardo nello sviluppo civile rispetto alle altre nazioni occidentali che la nostra nazione fatica ancora a colmare.