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La strage di deportati libici nei campi fascisti in Africa

I deportati nei campi fascisti in Africa

Quando l’ultimo campo di concentramento fascista sulle coste della Libia fu chiuso, nel 1933, di 100mila deportati nei campi fascisti ne erano morti 40mila. Una strage compiuta in soli tre anni che prese la forma tipica dello sterminio fascista: un massacro razzista e cialtrone esito di un colonialismo italiano definito “straccione” dagli storici e descritto persino più brutale, a volte, di quello delle altre potenze europee.

Dopo la riconquista della Tripolitania nel 1921, l’Italia occupò la Cirenaica tra il 1926 e il 1931. Per farlo, nel 1930 l’esercito italiano scatenò il terrore sugli indigeni, giustiziando 12mila persone. Poi strappò le terre a circa 100mila abitanti del Gebel al-Akhdar per consegnarle ai coloni italiani.

La deportazione nei campi fascisti

Queste 100mila persone, in massima parte donne, bambini e anziani, furono costrette a una marcia di oltre mille chilometri nel deserto. Molti deportati morirono per la fame, la sete e le fucilazioni. Gli italiani si abbandonarono alla più insensata crudeltà, fustigando a morte i prigionieri o abbandonandoli nel deserto senza acqua.

Chi sopravvisse raggiunse i campi vicino a Bengasi dove il resto del lavoro lo fecero le condizioni igieniche e il sovraffollamento. Nei campi di Soluch, descritto come un luogo di “disciplina perfetta” dove “regna ordine e pulizia”, dalla propaganda fascista, e di Sidi Ahmed el-Magrun, c’era un solo medico per 33mila internati. Il tifo e altre malattie erano comuni.

«Ricordo la miseria e le botte. Le esecuzioni avvenivano al centro del campo e gli italiani ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli. Ogni giorno uscivano 50 cadaveri».

Reth Belgassem, detenuto a el-Agheila

Alla fine del 1933 erano morti 40mila deportati su 100mila, e la strage aveva coinvolto anche i loro animali: più di 700mila ovini, 70mila dromedari, 13mila cavalli e 4mila asini erano scomparsi. Un esito tragico ampiamente previsto dal governatore Pietro Badoglio.

«Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica».

Pietro Badoglio, Governatore della Tripolitania e della Cirenaica dal 1929 al 1933

Immagine di copertina: Donne libiche vengono sorvegliate da soldati italiani a Derna, L’Illustrazione italiana, 1912, Dea / Getty Images.

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