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Ultime lettere dei partigiani condannati a morte

I partigiani nelle strade di Firenze

Tutte queste lettere di partigiani sono leggibili in versione integrale nel libro Ultime lettere di condannati a morte e deportati della Resistenza a cura di Mimmo Franzinelli e nello straordinario archivio online con lo stesso nome a questo link.

Tre lettere di partigiani condannati a morte

Il partigiano Marco Citton

«Mia carissima Rosetta,

sebbene io sia in una spasmodica attesa di una decisione sulla mia sorte, tu mi sei nella mente continuamente come il mio angelo tutelare. […] Ti amo molto, e continuamente l’affetto che ho per te aumenta sempre più, e nonostante l’insuperabile barriera che ci separa, mi sembra di averti sempre a me vicino, stretta fra le mie braccia. In particolare quando prendo al mio cuore la tua medaglietta, che tanto conforto mi reca […].

«Non pensi mai, quale gioie e quante lacrime di commozione verseremo se un giorno potremo ancora riabbracciarci liberi e felici? Ricordami tanto o mia cara Rosetta. E se Dio mi vorrà con sé […] ti aspetterò per essere allora uniti non per la vita ma per l’Eternità. Se i miei genitori ti arrecheranno ancora dispiaceri, perdonali […]. Sono sicuro, però e specialmente la mamma mia che è tanto buona, che se ti conoscessero ti amerebbero come me.

«Rosetta mia ti saluto e ti bacio tanto»

Marco Citton

Marco Citton aveva 19 anni ed era uno studente trevigiano dell’istituto magistrale quando iniziò ad aiutare i partigiani rifornendola di armi e provviste. Fu arrestato alle 10 del mattino del 6 agosto 1944 mentre era in bicicletta. Portato in carcere al grido: «Abbiamo arrestato il ribelle!», ci rimase per poco più di tre settimane. In quel periodo riuscì a incontrare almeno una volta sia i genitori che la fidanzata, visse momenti di speranza e poi di rassegnazione, temperati dalla sua forte fede cattolica. I tedeschi lo prelevarono il 29 agosto e lo fucilarono in una stradina.

Il giorno seguente alcune donne ritrovarono il corpo di Marco abbandonato. Prima di essere giustiziato, il ragazzo aveva fatto in tempo a inviare tre lettere di cui una alla fidanzata Rosetta. La ragazza la conservò annotando in calce: «L’ultima lettera di Mio Caro Marco scritta alle 7 di sera il giorno 29.8.1944 tre ore prima della fucilazione.

Il partigiano Gustavo Capitò

«Da parte mia vi è la massima serenità, senza alcuna illusione. Vedremo come finirà.

«Renatino mio, studia sii uomo, sii di conforto alla mamma e a Liliana. Ti abbraccio. Lili mia, sii brava, fai buona compagnia alla mamma. Ti abbraccio. Papà.

«Fra qualche giorno avremo il plenilunio, tu vedessi come la luna rischiara di notte la mia camerata. Immagina quanto ti ho pensata e quanto ti penso in queste ore che attendo che il sonno mi vinca. Ritornerò Nucci, e guarderemo assieme la luna e rivivremo le nostre ore felici. Buon sonno, Nucci. Sogna».

Gustavo Capitò

Gustavo Capitò era un ufficiale dell’esercito di 48 anni, decorato con la medaglia d’argento al valore durante la Prima Guerra Mondiale. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale di Mussolini ed entrò nella rete clandestina del Partito d’Azione col nome di battaglia “Fermo”. Vista la grande stima che nutriva per lui il capo della Resistenza Ferruccio Parri, Capitò fu scelto per dirigere la rete informativa del Comando militare della resistenza ligure.

Fu arrestato il 16 dicembre 1944 durante una retata del GNR. Portato dalle SS nella Casa dello Studente di Genova, fu torturato e poi condotto in carcere con altri partigiani. Là riuscì, con l’aiuto di un secondino, a inviare alcuni messaggi alla moglie e ai figli. Il 22 marzo 1945, però, il regime decise di giustiziarlo assieme ad altri detenuti politici come rappresaglia per un agguato della Brigata “Balilla” ai tedeschi. Gustavo Capitò fu fucilato a Cravasco il giorno seguente.

Il partigiano Giuseppe Bassani

«Caro papà,

quando ti ho visto l’ultima volta avevo 10 anni, ma mi ricordo benissimo. Era festa a Menerbio […] tu mi desti una lira perché potessi fare un giro sulle automobiline, mi baciasti e mi dicesti di vegliare su mamma e su Aldo. Alle tue parole io mi sentii un uomo […].

«Tu non approverai che io abbia seguito l’idea Badogliana ma il mio sacrifico basterà a farti comprendere che era giusto. Tu non puoi immaginare quanto e con che ansia ti abbia aspettato fino ad ora […]. Ciao o meglio addio caro Papà.

«Cara mamma,

scusami se tante volte ti ho fatto arrabbiare […]. Dì a mio fratello Aldo che io sono morto per una sola grande idea, salvare l’Italia dallo sterminio e dal disonore […]. Il papà ha delle idee differenti dalle mie, ma il mio sacrificio basterà a fargli sapere quale delle due idee sia la giusta, la degna di essere messa in pratica […].

«Mamma ho diciotto anni ma in questo momento sento che è entrato in me un non so ché di forte, so di andare incontro alla morte e non ho paura […]. Mamma ti amo tanto che tu non potresti immaginare. Salutami tutti e dì loro di pensare un poco a me»

Giuseppe Bassani

Giuseppe Bassani aveva 18 anni quando rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, unendosi ai partigiani della “Renato” in Valtellina. Ruppe, così, con gli insegnamenti del padre fascista, partito volontario per l’Abissinia e che si era poi stabilito ad Addis Abeba.

Giuseppe si confrontò con la memoria del genitore assente rivendicando, nelle lettere, la sua scelta di lotta per la libertà. Catturato a dicembre del 1944, fu spedito a Mauthausen dove morì il 29 aprile 1945.

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