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Hibakusha: il prezzo di Hiroshima e Nagasaki

Gli hibakusha di Hiroshima e Nagasaki

Alle 8.16.8 del 6 agosto 1945 il cielo si illumina su Hiroshima. Poi l’aria diventa un’onda di fuoco e vento, l’esplosione trasforma gli abitanti in ombre impresse su mura distrutte. Lo stesso accade a Nagasaki, tre giorni dopo. 210mila morti, sacrificati nel battesimo dell’era atomica. E poi ci sono coloro che rimasero in vita, i marchiati dalla bomba atomica: gli hibakusha.

Gli hibakusha dopo Hiroshima

Koji Hosokawa è uno di loro, una delle 650mila persone colpite dall’esplosione o dal fallout atomico di Hiroshima e Nagasaki. Erano uomini, donne, bambini: il Giappone si rifiutò di chiamarli “sopravvissuti”, per non contrapporli ai deceduti e poi li lasciarono ai margini della società giapponese, come un pensiero scomodo da non ricordare.
Erano il ricordo vivente di quella sconfitta e, per gli altri cittadini, portavano dentro di loro il veleno radioattivo, una fetta di umanità spezzata e corrotta da evitare. Marchiati dal fuoco atomico, avevano difficoltà a trovare lavoro e a sposarsi, per timore che la loro discendenza potesse nascere malata o deforme. Erano, però, solo pregiudizi.

Ma nel 1956 gli hibakusha, discriminati, evitati, si unirono in una organizzazione pacifista e battagliera: la Confederazione delle organizzazioni giapponesi delle vittime delle bombe A e H, il Nihon Hidankyo, che lotta ancora oggi perché il Giappone si prenda cura dei “colpiti dal bombardamento” e perché rifiuti il militarismo e le armi nucleari.
Oggi, nel mondo, sono ancora attive 13.400 testate nucleari, tutte più potenti delle due sganciate su Hiroshima e Nagasaki. E i 118mila hibakusha rimasti, lottano ogni giorno perché l’umanità non piombi di nuovo nel baratro.

«La bomba non fu sganciata su Hiroshima, ma sull’umanità intera».

Koji Hosokawa

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